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Di Saviano, Marylin Manson, Cappuccetto Rosso e fine della clausura

7 Ott

Breaking News: Al telegiornale si parla di Roberto Saviano testimone in aula come parte offesa a seguito delle minacce subite dopo l’uscita del suo Gomorra e il processo Spartacus. Fagiolino, che ha un occhio al piatto della cena e uno alla televisione, ci chiede i soliti ragguagli sul servizio e la domanda che gli viene spontanea – “Ma se è un bravo scrittore perché lo minacciano?” – offre un ottimo spunto per parlare di quando è giusto fare qualcosa anche sapendo che sarà scomodo e/o pericoloso. (da leggere con il tono della mamma orgogliosa del suo Fagiolino)

La Sister mi ha fatto gentilmente notare che l’avatar che ho da poco messo qui sul blog sembra una foto di Marylin Manson ed io che invece mi sentivo Druuna mi sono alquanto smontata. Quindi ora dovrò cercare qualcosa di più sobrio, altrimenti continuerà a rinfacciarmelo (‘ché quando scrivo che è colpa di mia sorella non è che sia solo il sottotitolo del blog).

Nel frattempo ho visto “Cappuccetto Rosso Sangue” approfittando di una mattina di stiratura. E per fortuna stavo stirando, perché il film è inutile. La regista (Catherine Hardwicke) pensa di essere ancora sul set di Twilight e i paesaggi e certe inquadrature ricordano troppo il primo episodio della storia del vampiro anemico, Gary Oldman è sprecatissimo nel suo ruolo di monaco inquisitore e il finale è telefonato venti minuti prima. Hardwicke non è solo “quella di Twilight” ma anche la regista di Thirteen e Lords of Dogtown e avevo ben altre aspettative. Pazienza.

Ah, pare io abbia finito il mio periodo da reclusa. Gli esami non sono a posto ma talmente migliorati da potermi permettere di essere di nuovo a piede libero, con le dovute attenzioni. Con immenso sollievo mio e di parenti e amici, dato che cominciavo a diventare un po’ strana e ossessiva… Festa!

Forse invecchio

1 Ott

Ho finito questo Lover reborn mesi fa e non mi ero ancora decisa a scriverne una recensione. Impiego sempre più tempo a leggere i romanzi di J.R. Ward; quando scorrono, e succede spesso, si torna ai tempi frizzanti delle prime uscite: Rhage, Z, Wrath… Ma la verità è che sempre più spesso si nota come le manchi quella scintilla che risolveva una situazione incartata con il pizzico di genio che metteva la Confraternita ben al di sopra degli altri urban fantasy.
L’escamotage di assicurare una compagna ad un Fratello con un autentico miracolo, alla terza replica non regge più. Prima Mary guarita da una malattia terminale, poi Jane che, anche da morta, riesce ad interagire con i vivi in forma corporea; adesso siamo addirittura alla scena in cui l’amata di turno viene riportata suo malgrado nell’aldilà e torna, graziata pure lei, suonando il campanello al portone di casa.
Signora Ward, dai. Sono sicura che sai fare di meglio.
Adesso nello scaffale c’è Lover at last, speriamo bene.

Intanto, con un’offerta di Bookrepublic ho rifornito il Kobo di letture per i mesi d’inverno, con cinque volumi della collana I mammut di Newton Compton. Sono tutti qui (sì, la mia pagina di aNobii, nonostante le diatribe anche recenti).

Sarò in malattia ancora tutta questa settimana, almeno se non ci sono nuove sorprese; mi consolerò pensando che almeno c’è da leggere. Mi rode il fatto che perderò, domani, un appuntamento importante per il quale mi ero preparata tanto.

Ah, nel frattempo è finito Dexter (ma si potevano impegnare di più), è finito Breaking Bad (ma sono indietro di due stagioni quindi mi aspettano le lezioni di recupero) e Berlusconi* ha fatto cadere il governo, con una magnifica mossa da armiamoci e partite: ha fatto dimettere i suoi parlamentari per difendere l’onore della sua persona, ma non si è dimesso lui. Chapeau. Ancora un po’ e Sandro Bondi ne chiederà la beatificazione da vivo (per tacere della Santanché).

*: Mi ripeto sempre che non dovrei parlare di politica qui sopra, ma in questo momento non mi viene in mente nulla di più lontano dal concetto di politica, quindi…

Odore di pipa e di colazione all’inglese

24 Mag

La prossima volta che compro un volume “Tutto di qualcosa” (in questo caso era “Tutto Sherlock Holmes” edito da Newton Compton, comprato nel negozio online di Kobo) devo ricordare che non è necessariamente obbligatorio leggere TUTTO in una volta.

Riemergo dalla lettura monotematica delle avventure dell’investigatore di Baker Street durata oltre un mese. Non avevo mai letto nulla di Arthur Conan Doyle e del suo da lui poco amato personaggio. Non parlerò delle storie, lo hanno fatto altri prima e molto meglio di me. Non conoscevo la personalità teatrale ed egocentrica di Holmes e nemmeno l’amicizia paziente e silenziosa di Watson. Una coppia perfetta, nell’amicizia e nel lavoro, che fa da filo conduttore a tutta l’opera. Ho letteralmente adorato certe immagini: le tempeste di vento contro le finestre di Baker Street, il tabacco trinciato nella pantofola, la raccolta dei ritagli di giornale di Holmes, le vecchie poltrone, le briciole di pane dopo colazione. Holmes e Watson sono come quegli amici che una volta incontrati non perdi più: li tieni sul comodino, o nello scaffale, e qualche volta hai bisogno di tornare a leggerli.

Solo un paio di osservazioni alla versione ebook, che contiene qualche piccolo errore non fastidioso per la lettura: c’è una riga vuota di troppo in due o tre casi e, credo, un errore nella TOC, perché i primi capitoli dei romanzi (quindi solo i casi, immagino, in cui è identificato il “capitolo”) sono sempre doppi.

E adesso mi butto su “Quattro soli a motore”, buon fine settimana 🙂

All’armi siam fascisti!

11 Apr

sottotitolo: “E’ un brutto lavoro” (cit.)

Domenica scorsa la Lovi, Fagiolino e il suo babbo hanno visitato la mostra NOVECENTO Arte e vita in Italia tra le due guerre, allestita ai Musei San Domenico a Forlì.

Presenti opere dei più grandi del periodo (Guttuso, Casorati, Balla, Biancini, Rambelli, Depero e l’elenco dovrebbe essere lunghissimo, vedi galleria della mostra) l’allestimento comprende anche pezzi di arredamento, moda e design e manifesti  pubblicitari. Perfettamente collocata nel contesto storico in cui si muovevano gli artisti, quel ventennio che inevitabilmente è diventato il Ventennio, la mostra tratteggia nel bene e nel male una società appena divenuta contemporanea che, da una parte, vive della luce del mito del Duce  e, dall’altra, deve fare quotidianamente i conti con l’obbligo di un consenso imposto (quasi incredibili le opere di celebrazione del plebiscito fascista del ’34, che riportano i risultati elettorali con quel miserrimo 0,15% di contrari).

Ecco allora il circolo di intellettuali di Margherita Sarfatti, scrittrice e fascista della prima ora, amica di Benito Mussolini, per il quale dirigeva la rivista Gerarchia, e impegnata a definire i canoni di quella che avrebbe dovuto essere l’arte fascista*, i manifesti pubblicitari di Depero, gli arredi di Gio Ponti, i piatti di Ginori, l’arte “contro” di Cagnaccio di San Pietro e Mino Maccari (bellissimi i ritratti caricaturali del Duce) e soprattutto l’architettura, spinta economica fondamentale del periodo grazie alla quantità di cantieri edili aperti ovunque nel paese.

Nota di colore la manifestazione, davanti all’ingresso dei Musei, di uno sparuto gruppo di sedicenti “Forlivesi di alternativa libertaria”, che protestavano contro quella che sostengono sia una mostra a celebrazione del fascismo, dal momento che sono presenti opere di artisti come Depero.

Ragazzi, due parole su storia e cultura, se posso permettermi.

Innanzitutto non credo abbiate visitato la mostra prima di manifestare, altrimenti vi sareste resi conto che non c’è nulla di agiografico o di celebrativo al di là eventualmente dell’opera stessa. Opera che, inevitabilmente, risentirà del periodo in cui è nata. Difficile essere un artista antifascista nel ventennio fascista. Inoltre le avanguardie nate nel periodo traggono parzialmente la loro ispirazione dal fascismo, dalla sua spinta alla modernità, alla cultura del corpo e del superamento dei propri limiti e se ne alimentano. E allora? E’ pericoloso invitare la gente a non conoscere un determinato periodo storico, specie se tanto danno ha fatto. Sapere è potere. Conoscere è evitare di ripetere gli stessi errori. Evita gli “ismi”. Quindi su, un po’ di tolleranza. Un po’ di cultura e di storia non fanno male a nessuno, anche se non sono sbandieratamente di sinistra (e ve lo dice una che a sinistra c’è nata e c’è rimasta).

*: la Sarfatti, di origine ebraica, fuggirà all’estero alle soglie delle leggi razziali e rientrerà in Italia solo nel ’47. Nemmeno l’agiografia pagava, insomma.

PS:  il titolo è volutamente ironico

PPS: la mostra è assolutamente da visitare

“Bisogna essere stoici e giammai epicurei (…)”

25 Mar

La citazione che dà il titolo al post è a pag. 65 di “Tutta colpa di Tondelli” di Nicola Pezzoli, che seguo da qualche anno al suo “linkazzo del skritore“. Tutta la pagina è un compendio di saggezza delirante.

Edito da KAOS, è una specie di memoriale del calvario affrontato dall’autore nel vano (fino alla fine) tentativo di trovare un editore che pubblicasse i suoi lavori. Dimentichiamoci dello scrittore da americanata, che spedisce il proprio manoscritto al primo grande nome sulla lista, viene omaggiato dalla Dea Bendata della cosiddetta botta di culo e diventa Danbraun in quattro e quattr’otto, che nemmeno la fata Smemorina avrebbe fatto così presto. La cronaca di Pezzoli è quella di una vera e propria via crucis tra le grinfie di un editor, talent scout, santone e luminare (secondo gli addetti del settore) dell’editoria dotato di quattordici (14) personalità distinte – l’Anatrone ha inquietato anche me – frustrate e maniacali, che per anni ha torturato e dilaniato gli scritti del nostro, mettendoci del suo tondellianamente e heideggeramente, tagliando e cucendo senza una logica (ma dalle mie parti si dice “alla cazzo”) e “prestando” parte dei suoi lavori ad altri scrittori del giro. Quella che ne viene fuori è la figura patetica del borghese che vorrebbe essere intellettuale (nell’accezione romantica del termine) senza esserne in grado e che, armato solo di una cieca devozione verso Heidegger e Carver, resta  in quel limbo di tamarraggine intellettualoide perfettamente rappresentata da Corrado Guzzanti con il poeta Robertetti.

A fare da comparse e macchiette, da autentici deficienti, anche Enrico Brizzi e Silvia Ballestra (ma se avete letto qualcosa di loro capirete perché). La cosa più brillante ed efficace sono i ritratti delle persone. Ci sono un umorismo di fondo ed un’ironia tagliente, anche nei momenti di massimo sconforto, che ti fanno apprezzare tantissimo l’obiettiva crudeltà con cui sono raccontati i personaggi; anche se chiamarli personaggi è riduttivo, essi vivono, sono tra noi e, peggio ancora, decidono cosa dobbiamo leggere.

Alla fine un Pezzoli sfiduciato solleva la testa e decide che non ne vale più la pena. E finalmente troverà un editore che pubblicherà proprio “Tutta colpa di Tondelli”. Mi verrebbe maternamente da dire che non tutto il male viene per nuocere, ma la verità è che io avrei gettato la spugna molto prima.

In chiusura di volume, la raccolta delle lettere di rifiuto ricevute durante gli anni di tentativi di pubblicazione e che orrore!!! scoprire che Gianni e Michele scrivono in Comic Sans, brrr…

Compito a casa: leggetevi “Tutta colpa di Tondelli” di Nicola Pezzoli, poi cercatevi “Gli eroi del crepuscolo” di Chiara Strazzulla, edito da Einaudi Stile Libero (rigorosamente di seconda mano o in biblioteca, non gettate soldi dalla finestra) e fatevi delle domande. Per esempio sul perché la Strazzulla la pubblica Einaudi (e le permette di andare in giro a dire che la scrittura è come starnutire, o ce l’hai o non ce l’hai) e Pezzoli si è dovuto subire Canalini. Oppure su chi decide cosa pubblicare: vanno picchiati cumulativamente la domenica mattina, voi forse non sapete perché ma loro sicuramente sì. A proposito: fatti e persone citate nel libro NON sono puramente immaginari. Google è vostro amico, cercate pure 🙂   VOTO: 7/8

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